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Uscire dall’isolamento, uscire dal neo-liberismo [STUDENTS' CORNER]

Oggi si parla tanto di social distancing come strumento di prevenzione al diffondersi della pandemia. Ma il social distancing non è una parola nuova, dal momento che ci conviviamo ormai da circa mezzo secolo, da quando cioè alla fine degli anni ’70 il neo-liberismo si affermò prima in USA e poi in UK e, da questi centri di contagio, si trasmise come una pandemia a gran parte delle società occidentali e non. Dalla convinzione che “l’alta marea solleva tutte le barche” e del “trickle down”, e cioè che le risorse date ai ricchi sarebbero filtrate al resto della popolazione, siamo arrivati nel giro di pochi anni ad una straordinaria disuguaglianza di reddito nel mondo che ha provocato un vero e proprio distanziamento sociale. Secondo Oxfam, oggi 2.153 persone possie- dono quanto 4,6 miliardi di persone, mentre il 50% più povero ha meno dell’1%. Tanto che si potrebbe addirittura parlare nel nostro caso di ineguaglianza e distanziamento asociale, proprio a marcare la distanza da una di- namica invece sociale di relazioni tra i membri di una società moralmente responsabile e solidale.

Nelle ultime settimane COVID-19 ha scosso alle fondamenta il sistema neo-liberista, ottenendo dei risultati che nemmeno le decennali pressanti richieste della sinistra progressista alla Sanders e Corbyn, erano riusciti a raggiungere. La prima vittima è stata ovviamente l’idea che la moneta è una risorsa scarsa. Fino a ieri le proposte di welfare spending venivano bloccate in nome del contrasto al deficit spending. Il risultato è stato quello di un taglio progressivo delle spese nella sanità, educazione e ricerca, servizi sociali. Oggi tutto è cambiato, a giudicare dagli annunci di politica monetaria espansiva intrapresa in questi giorni della totalità dei governi degli stati colpiti dalla pandemia. Siamo tornati a stampare moneta: oggi il deficit non è più un problema, semplicemente perché si è riscoperto uno vecchio mestiere delle banche centrali che è quello di monetizzare il deficit, semplicemente comprando obbligazioni a lungo termine del proprio stato e tenendole in portafoglio per il tempo che sarà necessario, anche per sempre teoricamente. Perché nessuno difronte a questo sfondamento del fronte dell’austerità non domanda: “Come andrai a ripagare il deficit, le coperture dove sono ?”. Anzi l’accento viene posto sul fatto che i soldi saranno disponibili in quantità e subito, la questione tempo è diventata prioritaria rispetto a tutto il resto. Ecco quindi svelata la grande menzogna dell’austerità, e cioè la penuria di risorse monetarie per la sanità, l’educazione e ricerca, e i servizi sociali, non c’era mai stata, non era cioè reale. Se lo stampare moneta e finanziare il bilancio in deficit possono essere strumenti per combattere il COVID-19, perché non lo possono essere anche per combattere la fame, la povertà, le disuguaglianze, le guerre, la distruzione dell’ambiente che mietono da decenni e con impressionante quotidianità ben più vittime che il COVID-19? 


La seconda vittima tra i fondamentali neo-liberisti è la concezione che lo Stato sia inefficiente a tal punto che la sua ingerenza nella società e nella economia deve essere ridotta al minimo a tutto vantaggio dell’iniziativa privata e alla libertà di impresa. Progressivamente gli stati-nazione hanno ceduto parte della sovranità politica ad entità superiori sovranazionali oppure a entità regionali/locali, ma hanno anche ceduto la sovranità su interi settori economici strategici alle multinazionali, le quali sono diventate nel corso degli ultimi decenni entità così potenti da gestire bilanci ben superiori a molti stati nazione. Le numerose morti di questi giorni, anche tra il personale medico, sono solo indirettamente legate al COVID-19: esse sono causa dell’impreparazione del sistema sanitario, in particolare della mancanza di posti letto in rianimazione, di vaccini, di cure e medicine, di personale medico ed infermieristico, di ventilatori polmonari e di dispositivi di protezione ed altro ancora. L’OECD ci informa che oggi l’Italia e la Spagna hanno meno ospedali per abitante che in Cina, Francia e Germania meno della Sud Corea e Giappone. Solo adesso tutti i governi stando inondando la sanità di risorse per aumentarne la capacità di risposta, ma i ritardi accumulati sono tali ed evidenti che si tratta di una vera corsa contro il tempo sulla pel- le di chi è stato così sfortunato ad ammalarsi.

Per quanto è emerso sopra, è evidente che la terza vittima è l’Unione Europea, l’area geografica per eccellenza dove le politiche e pratiche neo-liberiste di deregulation e privatizzazioni che hanno riguardato negli ultimi decenni interi settori dello stato sociale, sono state di fatto costituzionalizzate in nome di una rigida politica di contenimento del deficit di budget. Per non parlare infine della supply-chain madness, è cioè della vulnerabilità del sistema di produzione parcellizzata geograficamente di fronte all’avanzata del COVID-19, come il fermo di produzione che ha condizionato pesantemente il reperimento di prodotti essenziali, anche di tipo medicale, ha dimostrato. 

Per concludere, va sottolineato che il neo-liberismo, in antitesi al principio del laissez-faire, non solo si è sempre servito dell’aiuto dello Stato, ma lo ha regolarmente sollecitato in caso di difficoltà. Per cui sentenziare la fine del neo-liberismo a causa del COVID-19 potrebbe essere prematuro, le cose sono molto più complicate nella realtà. Certo è che il re oggi è nudo, per cui ci sono gli estremi per un cambiamento del paradigma sociale, verso un modello democratico, tendente alla piena occupazione, alla riduzione delle disuguaglianze tramite una redistribuzione del reddito e delle opportunità, in una parola verso un modello di stato sociale in senso solidale e rispettoso dell’ambiente. Cosa in realtà accadrà una volta passata l’emergenza, dipenderà molto da noi, dalla nostra voglia e convinzione di mobilitarci democraticamente ed imporre all’agenda della politica una nuova visione di individuo e di società. In fondo quello che tutti vogliamo difendere è il diritto di vivere in una società civile.

Milano, 8 aprile 2020
Alessandro Natili
Studente del Corso di Laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
Università di Milano Bicocca

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