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Antropologa, madre e figlia

Dal mio diario di quarantena, una pagina auto-etnografica del primo periodo di isolamento:

La mattina comincia presto, intorno alle 6:30. Ancora il mio corpo non ricorda che posso dormire e mi sveglio come prima del coronavirus. I bimbi non tardano a svegliarsi, mentre il papà è già uscito per andare a lavoro.

Cosa volete mangiare a colazione? “Biscotti e latte!” Apro il cassetto delle cibarie e la mano indugia sulla confezione di biscotti quasi vuota. Una piccola preoccupazione mi gela la mente: tra un po’ dovremmo comprarne altri. Una volta non mi faceva questo effetto la confezione leggera. Ora è un susseguirsi di pensieri: bisogna uscire, c’è da mettere la mascherina, ci saranno code al supermercato? Passerò accanto a qualcuno di infetto, che magari non lo sa? Spingo via questi pensieri mentre guardo i bambini mangiare.


Poi via a lavarsi, spazzolare i denti, e un cambio pulito per tutti e tre. Ore 9:00. “Ma perchè devo togliere il pigiama se tanto non usciamo?” I riti scandiscono la giornata, ci aiutano a cadenzare lo scorrere del tempo, danno forma alla nostra routine, disciplinano mente e corpo. “Possiamo guardare i cartoni?” Va bene, ma pochi. Ne approfitto per accendere il computer e guardare le email: la mia università ribadisce la chiusura dei corsi fino a data da destinarsi… dalla mailing list di un gruppo di antropologi si annuncia l’ennesimo corso online… bello, peccato che manchi il tempo con i bambini… intanto i cartoni sono finiti.

10:30. “Facciamo un lavoretto?” Va bene. Prendiamo dei nastri colorati e dei maccheroncini: li infiliamo e facciamo le nostre collane, le dipingiamo, Maya (2 anni) prova anche a mangiarle ed è delusa quando non trova la consistenza morbida che associava alla pasta. Dopo svariati modelli, prove da divi con foto da mandare a nonni, la giornata è ancora lunga. “Dai leggiamo una storia”. C’era una volta… E mentre leggo la mia mente vaga… C’era una volta in cui i camion dell’esercito non portavano via le salme dai paesi di notte, perchè i forni crematori non riuscivano a stare dietro alle salme. C’era una volta in cui se la gente batteva pentole e coperchi sui balconi la prendevano per matta. C’era una volta in cui non mi saliva ansia per una busta di biscotti mezza vuota.

12:20. Mangiamo pranzo e rassetto mentre i piccoli provano ad aiutarmi a caricare la lavastoviglie. Maya si appisola e intanto Michelangelo (4 anni) va a prendere le sue scarpe: “Posso andare in monopattino?". Certo: fortunatamente il terrazzo si presta a queste piccole fughe. Il sole ci scalda mentre guardiamo il parco sotto casa completamente vuoto, mentre l’erba inizia a crescere senza che nessuno la tagli. Chissà per quanto ancora crescerà…

14:30. Una delle chat WhatsApp tintinna: ci si preoccupa per la prossima rata dell’asilo. Si dovrà pagare? Ma proprio per intero? Almeno la mensa no, dai! In tanti fanno fatica, e in molti si sfogano sulla tastiera, forse anche per combattere un po’ la solitudine.

Sento i miei genitori, lontani 600km ed entrambi con più di un acciacco. 16:00. State bene? Non uscite, mi raccomando! Ma solo qui in campagna a fare due passi! No che è pericoloso e vi fanno anche la multa! Ma neanche la pecunia sembra essere un valido deterrente in cambio di un soffio di vento sulla pelle. Mia mamma ha cucito in casa delle mascherine con della stoffa di recupero. Ti piacciono? Così se io e papà usciamo insieme siamo in tinta! Ma non dovete uscire!

Intanto il mio compagno infila la chiave nella toppa e io devo trattenere i bambini che vogliono saltargli al collo: prima deve cambiarsi, lavarsi mani e viso. Intanto disinfettiamo cellulare e chiavi di casa. Mi tornano in mente le lezioni di  contaminazione incrociata a cui assistevo quando facevo il mio campo sulle sospensioni corporee e le pratiche di piercing. Chi avrebbe mai detto che mi sarebbero tornate utili proprio queste nozioni. 

Dopo cena il telegiornale è appuntamento fisso. 20:30. I bambini si addormentano mentre notizie discordanti si susseguono: possiamo tirare il fiato? Quanti morti oggi? E i contagi? Ma le mascherine dalla Russia sono arrivate? E in Spagna che succede? Il palaghiaccio di Madrid, quello dove andavo da ragazza con la mia amica Paula, è diventato il deposito delle salme di cui non si sa cosa fare. Corpi in bilico tra vita e morte, quelli nelle bare come quelli che li piangono a distanza. Quando ripartiremo dovrei fare i conti anche con questo.

22:00. Basta, andiamo a dormire. Siamo tutti stanchi. Le mani sono rosse e screpolate. Meglio mettere un po’ di crema idratante anche se… è quasi finita.

Civitavecchia (Roma), 20 aprile 2020
Federica Manfredi
Dottorato in Antropologia medica
Istituto di Scienze Sociali, Università di Lisbona

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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.