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Note da Maputo #2. Uno “stato d’emergenza” piuttosto affollato

Il 1° aprile il presidente Felipe Nyusi ha dichiarato lo stato di emergenza in Mozambico come misura preventiva della pandemia di Covid-19. E’ la prima volta, nella sua giovane travagliata storia come stato indipendente, che il paese adotta una misura di tale severità istituzionale e politica.
Il Sudafrica, distante un’ora dalla capitale Maputo, da settimane ha chiuso tutti i confini con il paese consentendo unicamente il passaggio delle merci per garantire approvvigionamento di cibo e beni essenziali. Tutti I voli commerciali da e per il paese sono sospesi. Di fatto, non possiamo uscire. Moltissimi “expats” (come si differenzia, in questi contesti, un “espatriato”, rispetto ad un “immigrato”?) hanno lasciato il paese verso I’Europa, scegliendo la presunta maggiore sicurezza di stare nel contesto che, in questi momenti difficili, avvertono come “casa”, pur abitando qui magari da decenni, o forse spesso anche come calcolo di probabilità di essere curati meglio qualora ne avessero bisogno.
In tutto il Mozambico, ci sono ad oggi circa 34 posti di terapia intensiva. La più parte, si vocifera, all’interno del palazzo presidenziale, inaccessibili alla popolazione.


Come Medici con l’Africa CUAMM stiamo lavorando con il Ministero della Salute nei vari tavoli tecnici di risposta all’emergenza. Logistica di farmaci e materiali, flussogrammi dei servizi per pazienti potenzialmente infetti e non, organizzazione di plotoni di sentinelle epidemiologiche nei villaggi e di raccolta e analisi dei dati raccolti, di training via Whatsapp su come lavarsi le mani dove appena funziona il telefono, campagne informative in 8 lingue diverse da far arrivare ovunque..di negoziazioni con il Consiglio Islamico e di altre confessioni per mettere a disposizione I potenti sound system delle loro moschee e chiese per diffondere informazioni…e ancora di mantenimento dei servizi esistenti, perchè HIV, tubercolosi, mortalità materno-infantile, epidemie di colera si ostinano a non lasciare la scena al covid, e quindi assicurarsi che arrivino I potabilizzanti, e organizzare il follow up telefonico a migliaia di pazienti HIV perchè restino aderenti alla terapia e accedano ai kit nutrizionali…e provare a ragionare su tutto questo, con interviste mirate per indagare la percezione della malattia, le eziologie immaginate, I circuiti paralleli della medicina tradizionale…e ovviamente poi I grandi partner internazionali, che forniscono risorse enormi e vitali, con tutta la loro burocrazia, politica e complicatissimi quadri logici per il monitoraggio quantitative del loro aiuto.


Parafrasando Flaiano, con una battuta potremmo affermare che “la situazione è grave ma non seria”. Ad oggi vi sono “solo” 19 casi dichiarati nel paese, ma considerando il numero infimo di test effettuati purtroppo questi numeri non hanno alcuna valenza epidemiologica. Navi cariche di test arrivano faticosamente dalla Cina, ma poi ci vogliono giorni a sdoganarle, distribuirle, farle arrivare dove servono.
Le autorità locali si stanno farraginosamente adeguando per la presa in carico di un enorme problema di salute e ordine pubblico con capacità organizzative e risorse (di personale, economiche, strategiche, logistiche) preoccupanti.
La dichiarazione dello Estado de Emergencia è stata diluita per tre giorni, con pubblicazioni di decreti legge contraddittori  che hanno diffuso confusione e malcontento tra la popolazione a tutti gli strati di questo paese tragicamente diseguale.

Vi sono stati inizi di manifestazioni di piazza quando si temeva che il governo avrebbe vietato la presenza in strada (il famigerato “lockdown” ossia “Fecha Tudo”) di fatto azzerando l’economia di una città africana che si vive, pensa e agisce nella quotidianità e nel commercio informale.
I mercati cittadini restano aperti con orario limitato, con le forze dell’ordine preposta a “verificare la pratica del distanciamento social” e la presenza di bidoni con acqua e sapone almeno ogni tre banchi….immagino siate stati in un mercato africano…
I trasporti locali, noti come tuc tuc, daladala, chopela o come preferite, simili in tutto il continente, hanno il permesso di circolare ma con solamente un terzo della capienza usuale. Pena multe severe. Il risultato prevedibile è che molti non viaggiano, penalizzando la popolazione, o chiedono il doppio del compenso normale, in una sorta di doppio vincolo che più che a Gregory Bateson fa pensare al celeberrimo romanzo Comma 22.


L’utilizzo di mascherine (e le sue infinite varianti, visto che quelle chirurgiche o altro sono da settimane irreperibili anche per il personale sanitario) è consigliato dalle autorità a mezza voce, poichè si sono già verificati casi di aggressioni a persone che le indossavano, letti come untori tra le comunità.
Di fronte a qualsivoglia pericolo, l’istinto  paleocelebrale porta all’unione, alla difesa collettiva di fronte all’ignoto, ma ora questa situazione ci chiede, e chiede alle culture africane, di adottare “scientificamente” comportamenti contrapposti. 
Stiamo lavorando con le autorità religiose e culturali per istituire riti sostitutivi del funerale, dei riti di iniziazione, di matrimoni e qualsivoglia altra manifestazione di socialità. Cioè della vita.
Sono solo note rapsodiche, per condividere e restare vigili. Atè logo.

Maputo (Mozambico), 9 aprile 2020
Edoardo Occa
Medici con l'Africa CUAMM
Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale (DACS)
Università di Milano Bicocca

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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.