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L'epidemia raffredda il mondo

“Surriscaldamento” è il termine particolarmente indovinato concepito da Eriksen come metafora per descrivere la globalizzazione, le drammatiche alterazioni ambientali, le trasformazioni economiche e sociali fonti di tensioni e conflitti della nostra epoca storica. La nostra realtà complessa è fatta di spostamenti fisici e virtuali sempre più veloci, e di conseguenza di cambiamenti e interconnessioni sociali sempre più fitte (basti pensare all’economia del turismo). Il cambiamento costante che sembrava inarrestabile ha portato il mondo, per come lo concepiamo, a surriscaldarsi. 

In questa epoca di forte accelerazione siamo però ora protagonisti di una improvvisa e grande decelerazione. Questa decelerazione è partita sotto forma di epidemia dalla Cina, tra le aree più produttive al mondo, per arrivare nel cuore dell’Europa tramite spostamenti fisici prevedibili ma impossibili da arginare, e soprattutto impensabili per lo status quo di solo poche settimane fa. La metafora del surriscaldamento di Eriksen è allora quantomai adatta anche per descrivere questa frenata brusca e disordinata le cui conseguenze sono difficili da immaginare. L’epidemia ci ha colto impreparati e non abbastanza flessibili. Ciò ha generato particolare incertezza, basti pensare alla diffusione in più fasi di notizie riguardanti la reale gravità della situazione, al difficile allineamento di strategia all’interno dell’UE, alla situazione difficile di lavoratori già precari o in nero, e ancor più alla situazione del Sistema Sanitario Nazionale alla ricerca disperata di fondi e manodopera. 


Siamo passati ad una realtà diversa. Alcuni Capi di Stato hanno citato lo scenario di guerra per veicolare il messaggio. Il nemico è invisibile ma ne vediamo gli effetti, dunque dobbiamo arginarne le cause. Nella gara contro un nemico più veloce di noi le stesse regole devono essere perfezionate in corsa. Senza aver fatto in tempo a scansare l’incredulità siamo in costante attesa di nuove indicazioni che modificheranno le nostre cosiddette abitudini. L’attuale epidemia ci ha costretto all’isolamento fisico, sono state bloccate le attività culturali e la maggior parte delle attività produttive, la riproduzione sociale si è allentata e come risultato la nostra routine si è arrestata: ma quale nuova routine si è allora installata? Penso che le scienze sociali avranno molto da raccontare nel prossimo periodo su questa situazione senza precedenti.

Tutto questo ha portato a una situazione unica di immobilità nella vita sociale. La società è nettamente divisa tra chi produce (soprattutto medici, operai, farmacisti e addetti del settore alimentare) e chi consuma.  I cittadini che continuano a lavorare devono mantenere del distacco fisico e la gran parte dei cittadini che invece sono confinati nello spazio della propria abitazione possono dialogare unicamente tramite telefono o mezzi di comunicazione online. Attraverso questa forma di comunicazione le persone hanno tentato di ricostruire la realtà di quanto accade. Cerchiamo tramite le telefonate e le chiamate video di gruppo di ricreare una sensazione di raggruppamento fisico. Al momento si sta scoprendo anche una forma di aggregazione virtuale direi locale composta principalmente dai membri della famiglia, gli amici più stretti e i colleghi di lavoro che giorno per giorno mantengono lo scandire del tempo e i legami necessari.


In questi giorni le dinamiche imposte a tutela della salute pubblica hanno rimpicciolito il nostro mondo. La mobilità è stata ristretta alla zona della nostra abitazione in uno scenario di guerra che si combatte interiorizzando la regola del non spostamento. Infatti, il nostro stesso corpo è sede di questa minaccia: ognuno è chiamato alle armi singolarmente. Questo ha creato un forte senso di appartenenza nei singoli che ha sospeso in parte altre forme identitarie basate ad esempio sullo status sociale. 

Le persone vogliono unirsi non dividersi, pertanto vengono ripetuti alcuni slogan volti a instaurare legami emotivi che superino l’inaccessibilità fisica. 
La collaborazione personale ad attività a sostegno del bene comune e della salute pubblica viene confermata attraverso la ripetizione di concetti sia positivi che negativi che polarizzano i sentimenti. 
Ad esempio, fra i rinforzi positivi vediamo i balconi privati decorati con la bandiera italiana e con partecipazione sotto forma di appuntamenti presi on line a determinati orari per cantare assieme. La scritta “andrà tutto bene” circondata da un arcobaleno è un altro esempio di adesione volto a creare collaborazione.


Altri esempi sono anche di tipo negativo, volti cioè a colpevolizzare l’individuo che non collabora. Il rischio concreto di vanificare il sacrificio dei più si trasforma in alcuni casi in caccia al colpevole. Questa ha comportato momenti di tensione in cui vengono progressivamente presi di mira runner, poi persone che portano a passeggio il cane. 
Nella campagna sui social, tra i quali Instagram, è nato in questo contesto l’hashtag #iorestoacasa. Questa icona diventa quasi un distintivo in cui più che rassicurare chi segue le regole finisce per dimostrare agli altri le proprie buone intenzioni onde evitare ogni possibile insinuazione. La campagna è oltretutto avallata fortemente dal Ministero della Salute che propone anche dei cartellini da appendere fuori dalla porta di casa.

Milano, 29 marzo 2020
Caterina Marchetti
Antropolis

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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.