Ho deciso di approfittare di questo spazio per discutere degli effetti sul lavoro di cura dovuti al regime di isolamento entrato in vigore su tutto il territorio italiano da Lunedì 9 Marzo 2020. Si tratta di dati preliminari che muovono da messaggi e telefonate ricevute dalle persone con cui lavoro per il mio progetto di ricerca di dottorato sull’assistenza domestica ad anziani fragili e non autosufficienti nella provincia di Bologna. Dati rispetto ai quali non sono in grado di fornire numeri precisi. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare ancora una volta le persone che hanno generosamente messo a disposizione il loro vissuto e le loro storie, e che spero leggeranno questo testo.
Non è mia intenzione discutere ora l’efficacia delle politiche di isolamento forzato: considerazioni più precise potranno essere fatte solamente nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, così come sull’impatto socio-economico del regime di isolamento e sui decreti governativi fatti per arginarlo. Il mio personale invito è alla cautela scientifica che dovrebbe accompagnare qualsiasi discussione accademica sull’argomento. In tal senso, questo breve testo prende le mosse dal negazionismo del fenomeno epidemiologico che ha accompagnato l’articolo del filosofo Agamben ormai tristemente celebre. Trattasi di un articolo violento più che affrettato e isolato - e lo dimostra il fatto che nei giorni successivi il filosofo abbia continuato con la stessa linea di pensiero - rispetto al quale l’intera comunità accademica dovrebbe manifestare il proprio dissenso. Tutte le retoriche violente banalizzano i problemi e affrettano le soluzioni. Qualsiasi tipo di approccio accademico ai fenomeni scientifici che vuole osservarne la costruzione sul piano storico-filosofico, sociale e culturale - persino sul piano delle relazioni di potere - non può risolversi a negare l’esistenza di tali fenomeni. Dire che un fenomeno sanitario soggiace a una costruzione sociale non equivale a dire che è un’illusione. E confondere il piano della libertà individuale con quello delle libertà collettive all’interno di un fenomeno epidemiologico è un errore forse ancora più grave.
Fatta tale premessa, gli effetti di questo periodo di isolamento sul lavoro di cura sembrano molteplici. Molte persone impiegate nell’assistenza domiciliare hanno interrotto gran parte dei propri lavori. Il periodo di isolamento forzato e il blocco della maggioranza delle attività lavorative del Paese ha fatto sì che molte famiglie abbiano più tempo da impiegare nell’assistenza agli anziani fragili e non autosufficienti. Trattandosi di un lavoro che per sue caratteristica implica un contatto intimo e ravvicinato, a quanto detto sopra si aggiunge la paura del contagio che ha portato molti datori di lavoro di assistenti familiari - comunemente note come badanti - a interrompere il lavoro di assistenza nei confronti dei propri cari malati. Un’assistente familiare mi ha raccontato che si limita a portare la spesa e i medicinali agli assistiti lasciandoli sul pianerottolo di casa; una sua collega ha lavorato inizialmente dotata di guanti e mascherine chirurgiche, e un altro porta volontariamente la spesa ad amici anziani per evitare che escano di casa. C’è chi ha deciso di comune accordo con la famiglia di interrompere del tutto i rapporti lavorativi in attesa di capire cosa fare con la retribuzione mensile. Ci sono anche situazioni in cui i figli non vedono più i loro genitori perché lavorano e hanno paura di contagiarli. Si tratta ovviamente di situazioni di prestazioni lavorative a ore e non casi di convivenza vera e propria; chi era assunto con un regolare contratto di lavoro in alcuni casi ha potuto beneficiare della possibilità di prendere delle ferie o è in attesa di capire cosa succederà al proprio stipendio mensile. Chi al contrario non aveva un contratto di lavoro regolare si trova nella condizione più precaria, così come coloro che avevano la necessità di mantenere la residenza e il permesso di soggiorno. Ho avuto notizie di un’assistente familiare che ha organizzato un gruppo di solidarietà per scambiare sostegno morale e aiuti economici. Lei al momento continua a lavorare perché il suo assistito necessità di iniezioni di insulina tre volte al giorno. Al momento - ma non è detto che la situazione non cambi nelle prossime settimane - i lavoratori domestici sono esclusi dagli ammortizzatori sociali previsti dai decreti governativi (né cassa integrazione in deroga, né fondi di integrazione salariale), fatto denunciato recentemente dall’associazione nazionale Acli Colf. È da considerare peraltro l’altissima percentuale di lavoro sommerso in questo settore.
Molte famiglie si trovano peraltro in condizione di grande necessità economica ed è presumibile che se aumenterà il periodo di sospensione delle attività lavorative si cercherà di ovviare al costo di un’assistenza privata. La chiusura dei centri diurni per disabili è un'altra questione che sta impattando significativamente sul lavoro di cura, privando molte famiglie di un aiuto essenziale sul piano assistenziale, e per le mie ricerche penso soprattutto alle persone affette da forme di demenza, le quali vivono difficoltà ancora maggiori per loro e per chi gli è vicino. Mentre molti centri erano inizialmente aperti con la sola sospensione delle visite familiari ora sono totalmente chiusi, al contrario delle strutture residenziali, dove in alcuni casi continuano le attività sociali e di animazione (seppur con alcune limitazioni) e i contatti con i familiari via telefono. Recentemente, un’assistente familiare mi ha raccontato al telefono la difficoltà estenuante di spiegare alla signora che assiste le chiusure dovute al periodo di isolamento forzato. In tali casi, è necessario dire che un’alterazione significativa dei ritmi della quotidianità faticosamente costruiti può essere particolarmente duro per chi soffre di tali patologie. Nelle strutture residenziali lavorano operatori sociali e sanitari che condividono molte preoccupazioni per la salute propria, delle loro famiglie e degli assisti, soprattutto quelli immunodepressi. Assieme ai centri diurni, luoghi di socialità, condivisione, e sostegno morale come Café Alzheimer e gruppi di aiuto che offrivano momenti - seppur brevi - di svago, riconoscimento e sollievo per familiari di persone affette da malattie degenerative sono al momento anch’essi bloccati, e in alcuni casi stanno continuando attraverso delle modalità online.
Per concludere, al momento appare che gli impatti del periodo di isolamento e della diffusione del virus Covid-19 sul lavoro di cura e di assistenza appaiono estremamente significativi. Sembra ancora una volta che malati, parenti e lavoratrici di cura condividano quasi lo stesso destino e la stessa sorte, di rientrare nel novero delle categorie meno protette sotto il profilo sanitario, sociale e politico-economico. In questo testo mancano tuttavia gli accenni a comportamenti rituali per scongiurare la paura – fra cui come sempre capita in questi casi, un ruolo importante lo ricopre l’ironia - e sopratutto riferimenti a strategie di adattamento messe in atto che sicuramente sono presenti.
Ferrara, 20 marzo 2020
Francesco Diodati
Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale (DACS)
Università di Milano Bicocca
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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.