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Eccessi di libertà in tempi di quarantena

“Nella società individualistica, non solo l’universale si realizza attraverso l’azione dei singoli, 
ma la società è essenzialmente la sostanza dell’individuo” 
Theodor W. Adorno

L’esperienza dell’epidemia del nuovo coronavirus, dichiarata dall’11 marzo una pandemia da parte dell’OMS, ha fatto emergere, a livello del vissuto collettivo e non solo di un’interpretazione accademica, la dimensione sociale, economica e politica della malattia. 

Per gli antropologi che non sono in viaggio, l’emergenza ha ristretto l’esperienza del campo al salotto di casa e allo stesso tempo tutti i soggetti coinvolti condividono l’interesse per uno stesso oggetto, il coronavirus, e per le forme di comportamento volte ad affrontare il problema, vissuto come comune. Sebbene abbiamo ridotto le nostre interazioni reali, è aumentata la possibilità e il tempo di ascoltare diversi attori sociali che, attraverso la condivisione di idee, di meme, di citazioni, battute, di forme di attivismo legate alla salute, creano un nuovo linguaggio e forme inedite di comunicazione politica, sociale e affettiva. Questo nuovo linguaggio intreccia lo specialistico con il comune in una coralità di interventi, spesso cacofonici ma con un forte potenziale creativo. Questo tipo di campo prevede necessariamente uno sguardo in divenire, che ricorda la cadenza giornaliera del diario di campo. In pochi giorni, infatti si è passati da uno stile di vita normale a uno “stato di eccezione”, per citare un criticatissimo Agamben, in cui le regole, le norme e i decreti legge si aggiornano di continuo.


Questo virus e la sua velocità di propagazione data da un fattore R0 pari a 2,4 ha messo in breve tempo in seria difficoltà il sistema sanitario italiano. Non tanto la sua letalità quanto il tempo lampo con cui si diffonde in una grande quantità di individui rende necessari interventi d’urgenza per garantire le cure e i servizi per i malati di fronte a un numero limitato di letti in terapia intensiva, di respiratori, di personale sanitario. Le pratiche quotidiane degli individui devono necessariamente dialogare con terminologie sconosciute a molti e ci troviamo ogni giorno a cercare un posizionamento in un discorso insidioso.

Di fronte a una crisi bisogna prendere delle decisioni, bisogna fare delle scelte che siano razionalmente orientate e atte a salvaguardare gli individui e la società. Quando si parla di scelte ci si rivolge al comportamento, a idee di etica e di morale. Secondo l’antropologo Jarrett Zigon ci sono diversi ordini entro cui si circoscrive il mondo morale: l’ordine istituzionale; il discorso pubblico della moralità inteso come tutte quelle articolazioni pubbliche di credenze morali, concezioni e speranze non direttamente articolate da un’istituzione e la morale incorporata, intesa come un habitus che gli individui hanno per relazionarsi con gli altri e con la vita senza troppo riflettere. In alcuni momenti però la vita ci pone a situazioni critiche a cui bisogna rispondere con una scelta e Zigon le definisce “momenti etici”. Queste interruzioni alla norma forzano le persone a fare un passo indietro e fare scelte. 

Il coronavirus ha introdotto un “momento etico” che non coinvolge il solo soggetto individuale, ma l’intera società, anzi un insieme di società. Una pandemia è un problema globale. Di fronte a questa invasione il mondo si deve organizzare e fare scelte, in un campo di valori morali ampio e globale, che diventano progressivamente più determinate localmente da giusti comportamenti imposti dall’alto ed etiche individuali. 

Le istituzioni in campo, i soggetti morali, sono molteplici e a diversi livelli: l’OMS, l’organismo di controllo internazionale che monitora l’evolversi dell’epidemia e invia le proprie definizioni del problema e le linee guida da seguire per gli stati, e predispone una serie di norme di comportamenti dirette agli individui; poi ci sono gli stati che intervengono a seconda del progredire dell’epidemia all’interno dei propri confini, a seconda delle priorità costituzionalmente stabilite e di un sistema di valori nazionale (in Italia il governo, l’istituto superiore di sanità e la protezione civile diventano le istituzioni ufficiali); le regioni, a loro volta, si muovono a seconda del livello di diffusione dell’epidemia le possibilità del sistema sanitario territoriale.

Anche per quanto riguarda il discorso pubblico c’è un considerevole dispiegamento di soggetti fra cui i giornalisti, i rappresentanti di partiti politici che cercano di muoversi tra buon senso e propaganda; A questo si aggiungono i soggetti con la propria morale incorporata, in questo caso esperti, virologi, medici, infermieri, opinionisti, e la gente comune che su Facebook esprime le proprie idee. 

Le scelte da intraprendere sono numerose e avvengono quindi su più livelli, in un’arena complessa e trafficata con un’altissima intensità di negoziazione. Il coronavirus per la sua capacità di contagio e rappresentando un problema per il numero di rianimazioni limitato si esprime come un’ottima metafora culturale se si pensa che ci troviamo in un momento ad altissima concentrazione di valori morali diversi che disorientano di fronte a scelte che invece dovrebbero fatte con chiarezza razionale e allo stesso tempo in urgenza. Una grande libertà di scelta si riduce a poche e semplici questioni per esempio nel districarsi moralmente fra l’imperativo rapidamente diffusosi del #restareacasa e la difesa delle libertà personali. In questo momento decisivo siamo tutti disorientati e cambiamo idea repentinamente, in relazione con le decisioni prese dal governo.

Sui social e ancora nella vita sociale urbana a Como, dove vivo, se fino al 7 marzo 2020 la maggioranza dei punti di vista verteva sull’idea che chiudere i bar alle 18 era un’esagerazione, a partire dall’8 marzo con la promulgazione del decreto ministeriale DPCM con le misure di contenimento per la Lombardia e le province più colpite contro il diffondersi del Covid-19, c’è stato un consistente spostamento di opinioni, che si è rinforzato con l’allargamento a tutta Italia comunicato dal Presidente del Consiglio, il 9 marzo.  All’indomani del comunicato per un paio di giorni le opinioni, scevre di ogni criticismo, hanno iniziato a convergere in un atteggiamento attivista per cui le bacheche sono state invase dal nuovo hashtag #iorestoacasa e presto anche di intimidazioni verso gli “idioti” che non lo facevano. La dimensione razionale del giusto comportamento si è ridotta a semplici reazioni affettive come apprezzamento e colpevolizzazione, che però hanno avuto effetti in una drastica riduzione di persone in giro. Tale riduzione, a oggi, non si è dimostrata sufficiente e così le voci dal basso, canalizzate dai social hanno iniziato ad alzarsi.

Il 21 marzo 2020, l’equinozio ha portato nuove restrizioni con un nuovo decreto del Ministero della Salute che restringe ulteriormente le libertà di movimento delle persone: i parchi saranno chiusi, i controlli saranno intensificati e sarà possibile fare esercizio solo “in prossimità della propria abitazione”. Ancora però molti lavoratori sono costretti ad andare a lavorare. Da giorni imperversava sui canali social il dibattito sui “runner” e sulla loro irresponsabilità. Il senso comune del restare a casa si è esteso rapidamente al cercare l’untore e questa volta lo spazio libero del decreto precedente relativo all’attività sportiva svolta individualmente e nel rispetto della giusta distanza è stato criticato come il motivo della mancanza di risultati delle misure finora adottate. Il nuovo intervento del governo è stato così giustificato da una richiesta popolare dal basso e non, apparentemente, da reali motivi strategici. La gente, in un inedito spazio di libertà e di scelta creato dall’emergenza, ha chiesto di essere ulteriormente normata e il governo ha risposto in tal senso. Gli operai devono invece recarsi a lavoro e poco si sa sul controllo della sicurezza delle aziende che dovrebbero garantire le strutture e gli strumenti per la salvaguardia della salute dei propri lavoratori. Dal momento in cui parte un decreto le modalità e le tempistiche in cui le Asl regionali riescono a organizzare l’effettiva azione di controllo sono diverse ma queste sono tematiche che non trovano ampia visibilità sui media. Non è facile informarsi in un contesto di sovrabbondanza di notizie, ma mi chiedo se abbia senso mettersi all’inseguimento dei corridori. Il nuovo decreto ancora una volta pone agli individui diversi spazi di negoziazione all’interno di un concerto restrittivo: come intendere in termini legali la formula “in prossimità della propria abitazione”? Quanti metri sono la prossimità? A quale distanza scattano provvedimenti? Probabilmente dipenderà dalle interpretazioni locali. 

In questo campo intricato e multidimensionale che sembra togliere la libertà agli individui restituendo la condizione strutturata delle persone, si apre al contempo la possibilità di esplicitare la natura strutturante dei soggetti, ovvero la capacità di ognuno di partecipare alla costruzione di una nuova struttura, utilizzando i termini di Bourdieu. Intendendo la soggettivazione, con Michel Foucault, come processo di formazione del sé in un campo di possibilità, il momento etico che è venuto a crearsi con l’avvento del virus costringe gli individui a una serie di vincoli ben rappresentati dalle mura di casa, del comune o del proprio villaggio. Dall’altra parte offre un ampliamento di possibilità dei margini di azione in cui l’individuale implica il sociale e viceversa. Questo momento eccezionale prevede una distensione delle maglie intricate dei decreti in cui è possibile costruire il sé e allo stesso tempo la società. Un momento etico rappresenta una reale possibilità di cambiamento coinvolgendo la responsabilità di ognuno di scegliere quale direzione intraprendere. Se questo aspetto colmo di speranza, di tempo per pensare al futuro, sembra permettere uno sguardo ottimista sugli eventi drammatici che stiamo vivendo, ho l’impressione che nessuno sappia davvero dove andare. Siamo disorientati e lo siamo a casa nostra. Emergono due paradossi: in un momento di grandi restrizioni si ampliano i nostri margini di libertà e da questa libertà ci sentiamo al contempo sopraffatti.

Faggeto Lario (CO), 22 marzo 2020
Viviana Luz Toro Matuk
Uniludes Lugano Campus

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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.