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La giusta distanza educativa. La didattica universitaria dopo il coronavirus // FASE 2

Nell’aprile dell’anno scorso il mio collega Ferdinando Fava mi ha invitato a Padova a presentare il mio libro sulla responsabilità educativa, in programma d’esame, agli studenti del suo corso. La lezione era prevista alle 8.00 del mattino e poiché aimè da Cremona (dove abito) arrivare in treno a Padova per le otto è pressoché impossibile, sono partita il giorno prima e ho dormito in albergo. La lezione è stata viva e partecipata; ho potuto, poi, visitare il bel dipartimento e lo studio del mio collega e anche la città (persino vedere sant’Antonio); il collega mi ha offerto un’ottima colazione e una bella chiacchierata.  

Quest’aprile, in tempo di coronavirus, il mio amico Ferdinando Fava mi ha invitato al suo corso per presentare la mia ricerca sul social network. La lezione sempre alle 8.00. Mi sono svegliata alle 7,30, a casa mia a Cremona, ho preso un caffè e sono intervenuta puntuale dal mio soggiorno grazie a Zoom.  Ho potuto invitare alla lezione l’insegnante del liceo di Crema coinvolta nella ricerca che tranquillamente, da casa sua, non ha avuto problemi (certo a Padova sarebbe stato impossibile per lei venire).  La lezione è stata molto partecipata e dal momento che sono nate diverse domande da parte degli studenti il mio collega mi ha invitata a “ritornare al corso ” la settimana successiva per un’altra lezione, in cui approfondire alcuni aspetti. Certo, niente visita della città, dolcetto, il piacere di rivedere un amico, il calore di un’aula. Ma niente spese per il dipartimento, la possibilità di riprendere il discorso in una seconda lezione e di aprire facilmente il dialogo ad interlocutori che non avrebbero potuto essere presenti fisicamente.


Credo che la cosiddetta  didattica a distanza  (per alcuni un ossimoro) ci sta facendo prendere consapevolezza del valore della didattica in presenza, che per tanti anni abbiamo praticato: il nostro essere lì, in aula,  a volte così faticoso, ma così denso di emozioni; la possibilità di modulare il discorso in relazione alle espressioni sul volto dei nostri interlocutori (che abbiamo imparato a decifrare nel corso degli anni), i molti significati legati alla fisicità dell’incontro (il chiacchiericcio di sottofondo, vedere chi arriva in ritardo e chi esce prima, chi messaggia di nascosto sotto il banco…)


Ma credo anche che la didattica a distanza ci sta permettendo di accorgerci che i nuovi media possono davvero diventare degli alleati, e non nel modo in cui ingenuamente avevamo pensato (“ragazzi trovate le slide della lezione e la bibliografia aggiuntiva sul sito del corso”) 
Se un nuovo medium si caratterizza per la capacità di prefigurare campi del pensabile e di possibile agency, allora la didattica a distanza mi ha permesso di iniziare a  pensarmi come ospite nelle più diverse università senza spostarmi da casa  (a costi zero) e al tempo stesso di pensare che potrei ospitare nel mio corso, per i miei allievi, interventi interessanti di bravissimi colleghi che si trovano all’estero. Che potremmo fare lezione anche dal campo e ospitare a lezione colleghi che si trovano sul campo.  Che la rete può venire in supporto quando nevica e i mezzi non vanno, quando il treno si rompe, quando siamo un po’raffreddati. Insomma, che non occorre in molti casi sospendere la lezione, si può anche fare diversamente (e mi chiedo: perché non lo abbiamo mai fatto?). E poi che potremmo caricare sulla piattaforma dell’università audiolezioni o parti registrate di lezioni (non le semplici slides) che possono riprendere i concetti fondamentali del corso per chi è assente o non frequentante o in difficoltà (anche questo: perché non lo abbiamo mai fatto?).

Se devo immaginare la didattica universitaria dopo il coronavirus penso che non sarà più solo “in presenza” o solo “a distanza”, e credo che adesso sia inutile dividersi tra fautori e detrattori dell’una e dell’altra forma. 
Spero che potrà essere una didattica che prende da entrambe le esperienze il meglio per mantenere e al tempo stesso rinnovare il significato autentico della relazione che si crea, in modi diversi, tra docenti e discenti: l’intenzionalità di un incontro che si basa sull’idea che la trasmissione e la condivisione del sapere – nel nostro caso del sapere antropologico-  è, anche in questi tempi incerti, un valore in cui ancora ci riconosciamo.

Milano, 4 maggio 2020
Angela Biscaldi
Università degli Studi di Milano "La Statale"

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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano