Sono andata a fare la spesa, guardavo ‘spaesata’ il parcheggio. Ho sentito il rombo di una macchina, mi sono immobilizzata. Non ho controllato da che parte arrivasse, mi sono semplicemente fermata. Bene, la macchina percorreva un’altra strada. E’ come se dovessi imparare di nuovo che il suono delle macchine esiste e coesiste con me nei luoghi che tornerò a frequentare con più assiduità, non appena la situazione mi permetterà di farlo. Non è strettamente necessario che io mi immobilizzi al solo suono di un automobile, ma posso coordinare l’udito con la vista e comportarmi di conseguenza.
Tutto questo mi porta a riflette su due aspetti. Il primo è che: per quanto mi riguarda, è come se in questo isolamento fossi tornata nel ventre materno, certamente non sono nell’utero di mia madre, ma la mia casa in questo momento è il mio utero. Mi protegge, mi alimenta, mi cura e mi rendo conto che per uscire allo scoperto, in piena libertà, dovrò imparare a farlo. Ho passato così tanti giorni in me, che non appena si potrà, dovrò imparare di nuovo a stare fuori di me e con me. Sarà un vero e proprio rito di passaggio, dovrò prepararmi a tagliare il cordone ombelicale che mi nutre e mi lega a questo luogo, uscire, stare fuori da me ma con me, per fare poi ritorno a casa. Individuo una certa ritualità che dal mio punto di vista accompagnerà la libera uscita.
In secondo luogo rifletto sull’ascolto. Sul nuovo significato che attribuiamo ai suoni che sono sempre esistiti nella nostra vita. Penso alle sirene delle ambulanze. Durante la triennale quando le udivo, basandomi sulla fisica del suono, ne riconoscevo l’effetto Doppler. Quando si avvicina l'ambulanza sentiamo la sirena con un tono acuto. Viceversa, quando si allontana sentiamo il suono della sirena con un tono grave. Ora non posso far altro che ricollegarlo a tutte le persone che sono impegnate e si dedicano alla cura degli altri in questo periodo delicato. Non posso far altro che sperare di sentire il meno possibile questo suono. Sensibilità che, in modo un po’ superficiale, prima non avevo.
Allora penso a chi ha riflettuto su una possibile rivoluzione dell’ascolto, non inteso in quanto atto fisiologico dovuto ad un corretto funzionamento dell’apparato uditivo. Mi riferisco ad un ascolto sensibile, attivo su ciò che ci circonda. Penso al paesaggio sonoro (soundscape) teorizzato da Raymond Murray Schafer, che non è altro che l’insieme degli eventi acustici prodotti dall’uomo e dalla natura che ci circonda. Sicuramente ci sarà un cambiamento nella nostra percezione sonora del mondo perché, già ora si può notare un cambiamento nella sua composizione.
Concludo riferendomi all’International Noise Awarness Day del 1999, duecento studenti hanno camminato per la città senza fare niente se non ascoltare, riportando sui loro striscioni la frase di Walt Whitman: “Do nothing but listen”. Mi sembra che ora la situazione si stia ripetendo, è come se vivessimo due frames appartenenti alla stessa sequenza. Trovo che noi antropologi abbiamo l’arduo compito di richiamare alla riflessione e all’ascolto, ancor di più di quanto fatto fino ad oggi, affinché l’umanità intera possa rispondere nel modo che ritiene più opportuno a questo stimolo.
Seregno (MB), 18 aprile 2020
Laura D'Auria
Studente del Corso di Laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
Università Milano Bicocca
Università Milano Bicocca
Continuiamo con questo post la pubblicazione dei contributi ricevuti da studenti e studentesse di antropologia interessati a condividere il loro punto di vista sulla situazione che stiamo attraversando. Il blog intende così proporsi come uno spazio di ascolto e confronto tra studiosi che si trovano in fasi diverse del loro percorso formativo e professionale.
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Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.