Il 15 maggio si terrà la conferenza dottorale intitolata Contaminazioni, organizzata dalll'Università di Bergamo, aperta al pubblico e gratuita. Il mondo in cui è nata l’idea della conferenza, originariamente prevista per il 28 febbraio, è ormai ben diverso dalla realtà con cui ci dobbiamo confrontare quotidianamente.
Lo scorso settembre, quando
l’evento era ancora nella sua fase embrionale, parlare di contaminazioni
stimolava pensieri sull’ibridità, sull’integrazione, sulla nascita di nuove
forme. Il tema si prestava bene a una riflessione sul presente, sull’accademia,
sulle discipline sempre più interconnesse. La contaminazione, se non
necessariamente positiva, era percepita per lo meno come un valore neutro della
modernità. A voler azzardare un’affermazione prescrittiva, ne arrivava almeno
in parte a definire l’essenza.
Oggi, la parola stessa evoca ben
altri contesti. Se a metà febbraio tra gli organizzatori si commentava
sull’ironia di vedere i nostri piani per una conferenza incentrata sulle
contaminazioni rovinati da un’epidemia, oggi ritorniamo con la mente a quei
giorni e non possiamo che rimpiangere la leggerezza con cui sono state accolte
le prime ordinanze contro la diffusione del Covid-19. Non intendo nella loro
esecuzione e nel loro rispetto, su cui non è mio compito esprimere giudizi, ma
nella certezza ingenua che entro qualche giorno, qualche settimana, tutto
sarebbe tornato come prima.
A quasi tre mesi da quel momento,
tra quei pensieri distratti – saldamente ancorati alla sicurezza che tutto si
sarebbe risolto senza conseguenze – e il presente ci sono le decine di migliaia
di morti a livello nazionale e le immagini indelebili delle bare che lasciano
Bergamo a bordo di mezzi militari. Bergamo, che raramente balza agli
onori della cronaca, è diventata la città simbolo della pandemia. Bergamo, che
doveva essere la sede di questa conferenza, organizzata nell’ambito del
Dottorato in Studi Umanistici Transculturali dell’ateneo cittadino.
È in un mondo diverso che questa
giornata di studi avrà luogo, in un modalità quasi impensabile fino a pochi
mesi fa. È dunque pressoché inevitabile chiedersi quanto interventi così
“astratti” (e, di conseguenza, la conferenza tutta) mantengano un senso a
fronte di problematiche in apparenza ben più concrete.
Ecco un tentativo di risposta,
parziale in ogni senso della parola: parlare di contaminazione nell’era del
Covid-19 senza lasciarsi andare a tristi considerazioni dettate dal momento
storico è fondamentale, forse più di quanto non lo fosse prima di questa
pandemia.
Lo è per una serie di motivi: per
primo, la contaminazione implica un contatto e, non potendo averne uno fisico,
possiamo per lo meno avvicinare i nostri pensieri, le nostre conoscenze, e le
nostre discipline. La contaminazione deve coinvolgere ogni area del sapere per
poter pensare soluzioni nuove. Secondo, la contaminazione, oggi, non fa che
evocare immagini di gel igienizzanti, mascherine, guanti e distanze di
sicurezza. Gli interventi della nostra conferenza recuperano il valore positivo
del concetto e ne celebrano i risultati. Siamo studiosi in campo umanistico, il
nostro contributo all’evoluzione del presente non può che concretizzarsi in
riflessioni sull’arte, la letteratura, la filosofia, ma rimane ancorato al
desiderio di mettere in contatto, di dialogare, di interagire ed espandere.
Terzo, ritengo sia auspicabile una società che fa della contaminazione un suo
valore fondamentale. Passato il peggio, quando le più comuni attività potranno
riprendere, non potremo, né dovremmo, tornare al passato (seppure estremamente
recente). La pandemia globale ha messo in luce gravi debolezze del
‘sistema-mondo’ in cui viviamo, ha evidenziato gli svantaggi del capitalismo
sfrenato, e forse ha permesso a molti di rivalutare le proprie priorità. Se
vogliamo rinnovare la società che abitiamo (e che formiamo), dobbiamo invitare
alla contaminazione. Vecchi rimedi per nuovi mali non sempre sono sufficienti.
Le discipline arroccate nei propri avamposti devono dialogare tra loro. Le idee
ibride possono assicurare il cambiamento.
È questo il tipo di
contaminazione che attraversa la Keynote
Lecture, intitolata “La de-costruzione dell’Antropocene,” e i quindici
interventi in programma per questo venerdì. È in quest’ottica ambivalente che
abbiamo scelto l’ape, in pericolo a causa della contaminazione da pesticidi e a
sua volta promotrice di contaminazione tra specie animali e vegetali, come
simbolo della giornata. Durante la giornata di studi, si parlerà di una
contaminazione mossa dalla speranza, piuttosto che evitata per paura.
I cinque panel sono divisi in
percorsi tematici: il primo, dal titolo “‘Hard’ e ‘soft’ science: ibridazioni
interdisciplinari,” esplora i contatti tra scienze dure e discipline
umanistiche, mentre il secondo, “Riflessioni sull’essere e sull’identità,”
indaga il pensiero contemporaneo su cosa ci rende individui e umani. Il terzo
panel, “Uomo, animale, vegetale: dualità e simbiosi,” apre la sessione pomeridiana
con degli interventi sul rapporto tra umanità e natura ed è seguito da
“Incontri di culture: prospettive transnazionali,” in cui si presenterranno dei
saggi di carattere comparatistico che evidenziano punti di contatto tra culture
nazionali diverse. A conclusione della giornata, l’ultimo panel, “Uno sguardo
all’America,” si concentra sulle istanze di ibridità nella letteratura del
continente americano.
Gli interventi spaziano
attraverso le aree del sapere umanistico: antropologia, filosofia, musica,
storia, letteratura dialogheranno non solo durante gli interventi, ma anche
durante il question time, con
l’auspicio che ne risulti una riflessione sul presente aperta, nuova,
propositiva e, soprattutto, contaminata.
La conferenza è aperta al
pubblico ed è gratuita. Si svolgerà integralmente sulla piattaforma per
videoconferenze Zoom ed è necessaria
l’iscrizione.
Il programma completo e le
istruzioni per partecipare sono disponibili sul sito dell’evento: https://contaminazioni.wixsite.com/website.
Bergamo, 13 maggio 2020
Valentina Romanzi
Dottorato in Studi Umanistici Transculturali
Università di Bergamo
Per inviare il vostro contributo, scrivete a: anthroday@gmail.com.
Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.
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