C’è un’immagine, ripresa da alcune testate italiane, che ha fatto il giro dei social media nei giorni dello scoppio della pandemia: la fotografia, scattata a Marrakech, ritrae una ragazza quasi completamente sola in una deserta Jemaa el Fna, una delle piazze più famose al mondo, patrimonio mondiale dell’umanità e principale icona del Marocco. È un’immagine straniante e surreale soprattutto per chi come me, solo qualche giorno prima, si trovava ad attraversare la “mitica” piazza, popolata dalla consueta e variopinta “corte dei miracoli” (fatta di cantastorie, incantatori di serpenti, acrobati, musicisti, teatranti, guaritori tradizionali, chiromanti, tatuatrici, ambulanti, etc) che vi si riunisce ogni giorno, mettendo in scena un vero e proprio spettacolo en plein air, capace di attrarre milioni di turisti affamati di “esotismo e alterità”.
Fonte: The Post International
L’irrompere
della pandemia ha spazzato via tutto, innescando effetti inediti e paradossali:
con un’escalation rapida e imprevedibile, a metà marzo, il Regno ha deciso di chiudere
le proprie frontiere e di imporre, a scopo precauzionale, un rigido
confinamento (ancora in corso). Le strade di Marrakech, già ricolme di
visitatori sbarcati dai numerosi aerei low cost che collegano la più importante
meta turistica del Nordafrica alle principali città del Vecchio Continente, si
sono svuotate da un giorno all’altro. Con la repentina chiusura delle frontiere
e l’immediata sospensione dei voli internazionali, però, migliaia di turisti
europei sono rimasti bloccati nel paese, sperimentando per la prima volta il “trauma
dell’immobilità” (Ben Lazreq, Garnaoui 2020), fino a quel momento riservato
esclusivamente ai locali e ai migranti subsahariani fermi da anni nel “limbo
marocchino”. Questa situazione inconsueta ha provocato scene di panico e sdegno
(culminate nelle proteste spontanee nei principali aeroporti del Marocco) e un
senso di diffusa incredulità nel trovarsi per una volta “dall’altra parte”:
come scrive Marmié a proposito dei “francesi bloccati in Marocco”, essi
improvvisamente “hanno scoperto, sotto shock, la reversibilità della situazione
migratoria e la sparizione temporanea dei loro privilegi di circolazione” (Marmié
2020). Termini come confinement (confinamento) et rapatriament
(rimpatrio) d’un tratto non riguardano più solamente gli “altri”, i “migranti”
ma anche i gli “expat”, i “turisti”, i quali se da un lato ricevono numerosi attestati di solidarietà da parte della popolazione locale, dall’altro - visti
come “untori” - sono anche oggetto di
stigmatizzazione e ostilità.
Ma è a
circa seicento chilometri a nord di Marrakech, nelle zone di frontiera tra
Spagna e Marocco, che accade l’impensabile: alcuni giovani marocchini fuggono a nuoto
dall’enclave spagnola di Ceuta, uno dei simboli più potenti della “Fortezza
Europa”, per tornare nel loro paese d’origine dove si sentono più al sicuro. Qualche
settimana dopo, il quotidiano El Pais riporta la notizia che i passeurs dello Stretto
hanno iniziato a organizzare costosi viaggi a senso inverso per permettere ai
marocchini bloccati nel paese iberico, fortemente colpito dal Coronavirus, di
ritornare a casa.
Un paio
di anni fa, per una mia precedente ricerca, mi sono occupata del confine “in
movimento” tra Spagna e Marocco, sottolineandone il carattere flessibile e cangiante
(Turchetti 2019b) ma mai mi sarei aspettata di trovarmi davanti a uno scenario
del genere, dall’oggi al domani. Di primo acchito, nello sconvolgimento di quei
giorni e nella difficoltà di mettere a fuoco ciò che stava accadendo sotto i
miei occhi, mi è tornato alla mente il bel romanzo di Abdourahman Waberi “Gli
Stati Uniti d’Africa”, in cui lo scrittore francese nativo di Gibuti prova a
immaginare un “mondo al contrario” dove i
migranti si accalcano alle frontiere del continente africano,
spostandosi da Nord verso Sud.
Al di là
di suggestioni letterarie estemporanee, tuttavia, è evidente che il mondo non si
sia affatto capovolto. Per quanto buona parte della popolazione mondiale stia
sperimentando forme di confinamento e restrizione delle libertà, a dispetto di
ogni retorica, non siamo “tutti sulla stessa barca”: la pandemia ha acuito le
disuguaglianze e aumentato la vulnerabilità dei migranti e dei rifugiati in
Marocco e altrove
(Agier 2020). Nonostante la momentanea riconfigurazione del paradigma della mobilità globale (Borriello, Sahiloglu 2020), poi, le gerarchie e i privilegi di
circolazione non sono stati realmente scompaginati: gli europei bloccati in
Marocco (me compresa) sono tornati quasi tutti a casa con voli speciali autorizzati
dal governo marocchino, mentre i migranti subsahariani sono sempre nel paese in una condizione di ancora
maggiore precarietà, immobilità, sospensione (che colpisce anche gli strati più
vulnerabili della popolazione locale).
Ciò che è
cambiato in questi mesi, però, è sicuramente il livello di attenzione posto sul
tema, soprattutto nelle prime settimane dopo lo scoppio della pandemia: le migrazioni e le frontiere, negli ultimi
anni al centro di innumerevoli dibattiti, sono d’improvviso quasi del tutto sparite
dalle agende politiche e accademiche, fagocitate dal Coronavirus (Firouzi Tabar
2020). Eppure
viviamo in una fase storica che vede la proliferazione e il consolidamento (ma
anche la destabilizzazione) di confini “esterni” e “interni”, l’instaurazione
(temporanea?) di nuovi regimi frontalieri che attraversano spazi e corpi (De
Silva 2020).
Fonte: Pew Research Center
In questo
contesto, inoltre, la nozione stessa di confine – che, in tutta la sua
polisemia, già prima si mostrava particolarmente feconda sia nel campo delle scienze
sociali che in quello delle pratiche artistiche (Turchetti 2019a) - si carica
di nuovi significati e sfumature (Bargna et alii 2020).
Il
momento, dunque, appare propizio per ripensare le mobilità e i confini, andando
oltre la situazione contingente e provando a immaginare scenari futuri. Da
questo punto di vista, il Marocco, terra di mezzo, può costituire un
osservatorio privilegiato da cui guardare al “nuovo mondo” che ci aspetta. Negli
ultimi decenni, il paese maghrebino ha costituito un vero e proprio laboratorio
per le politiche europee di esternalizzazione della frontiera (border
outsourcing), finalizzate a istituire un cordon sanitaire a
protezione dello spazio UE. Tali politiche non si riducono solamente alla
costruzione di muri e barriere (come quelle imponenti e “scenografiche” che
circondano le enclaves di Ceuta e Melilla), ma mettono in campo anche una
serie di raffinati dispositivi per controllare, sorvegliare e filtrare le
mobilità umane, sulla base di una
linea strategica che Campesi definisce “polizia dei flussi” (Campesi 2015:131),
ispirata al principio del profiling e
del risk targeting. Questa strategia
si ricollega al concetto di “confine intelligente” (smart border), una tecnologia avanzata in grado
di operare in maniera “chirurgica”, di insinuarsi nei corpi (border
insourcing), selezionando e differenziando minuziosamente i flussi.
Fermo restando che con ogni probabilità alcune gerarchie di
mobilità saranno destinate a durare (e a cui potrebbero aggiungersi altre forme didifferenziazione), possiamo
ragionevolmente pensare che in futuro tali meccanismi di governance,
implementati e testati in paesi terzi e/o su determinate popolazioni-target (i
“migranti”), possano essere importati e applicati su larga scala, portando all’ampliamento
di un “regime che seleziona e sacrifica” (Amselle 2020). Come scrive Paul
Preciado (2020), in parte sta già
accadendo:
“il virus non fa che
riprodurre, materializzare, estendere e intensificare per l’intera popolazione
le forme dominanti di gestione biopolitica e necropolitica già esistenti […]. Il
corpo è diventato il nuovo territorio all’interno del quale si esprimono le violente
politiche di frontiera che progettiamo e testiamo da anni sugli “altri”,
assumendo la forma di misure di barriera e di guerra al virus. La nuova
frontiera necropolitica si è spostata dalle coste della Grecia verso la porta
di casa tua. Oggi Lesbo comincia sul tuo pianerottolo. E la frontiera non
smette di chiudersi su di te, ti spinge sempre più verso il tuo corpo. Calais
oggi ti esplode in faccia. La nuova frontiera è la mascherina. L’aria che
respiri deve essere solo tua. La nuova frontiera è la tua epidermide. La nuova
Lampedusa è la tua pelle”.
Yto Barrada, A Life Full of Holes: The Strait Project
Tenuto
conto del suo carattere polisemico, il confine, però, non è solamente una
tecnica di potere e governo ma può configurarsi anche come uno spazio “aperto” di conflitto e
creatività. In tal senso, la frontiera tra Spagna e Marocco è da tempo un
laboratorio di pratiche e “lotte di confine” (Mezzadra, Neilson 2013) in cui il
corpo migrante (vulnerabile e resistente, imbrigliato e indocile al contempo) è
assoluto protagonista. Ed è a queste esperienze liminali che dovremmo guardare
per immaginare uno scenario futuro, non necessariamente distopico. Un futuro in
cui i corpi – in tensione con i confini che li contengono e attraversano -
giocheranno un ruolo centrale in quanto come annota ancora Preciado (2020):
“Contrariamente a
quanto si potrebbe immaginare, la nostra salute non dipenderà dal confine né
dalla separazione, ma da una nuova concezione della comunità che includa tutti
gli esseri viventi, da un nuovo equilibrio con gli altri esseri viventi del
pianeta. Abbiamo bisogno di un parlamento di corpi planetari, un parlamento non
definito in termini di politiche d’identità o di nazionalità, un parlamento di
corpi (vulnerabili) che vivono sul pianeta Terra”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
-Agier, M. (2020), “Les vies encampées, et ceque nous en savons”, Libération, 21/04/2020.
-Amselle, J.L. (2020), “Addio a Foucault. ‘Biopotere’ o‘tanatocrazia’?”, Scenari, 20/04/20.
-Bargna, I. et alii (2020), “Confini:(S)confinamenti. Antropologia pubblica e frontiere”, Gli Stati Generali, 01/05/2020.
-Ben Lazreq, H.: Garnaoui, W. (2020), “TheParadoxes of Immobility: Covid-19 and the Unsettling of Borders”, ABCNet, 24/04/2020.
-Borriello, G.; Sahiloglu, A. (2020), “Bordersin the Time of Coronavirus: How the COVID-19 Pandemic Upended the GlobalMobility Paradigm”, COMPAS, School of Anthropology, University of Oxford, 20/03/2020.
-Campesi, G. (2015), Polizia della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo, Roma, Deriveapprodi.
-De Silva, V. (2020), “Mobilità, corpi e confini”, Storie virali, 28/03/2020.
-Firouzi Tabar, O. (2020), “Lemigrazioni nella Pandemia: Rappresentazioni, marginalità e nuovi spazi di lotta”, Euronomade, 07/05/2020.
-Marmié, C. (2020), “Les ‘françaisbloqués au Maroc’. Une lumière crue sur l’ordre migratoire international”, Carnets de l’Ehess, 15/04/2020.
-Mezzadra, S.; Neilson, B. (2013), Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna.
-Preciado, P. (2020), “Le lezioni delvirus”, Internazionale, 09/05/2020.
-Turchetti, A. (2019a), “L’arte dei margini: poetiche e politiche del confine Euro-Africano tra paesaggi di potere e spazi di resistenza” in Bertoni, F.; Sterchele, L.; Biddau, F. (a cura di), Territori e resistenze. Spazi in divenire, forme del conflitto e politiche del quotidiano, Manifestolibri, pp.144-163.
-Turchetti, A. (2019b), “Non solo Fortezza Europa: lo scenario di frontiera tra Spagna e Marocco. Un confine in movimento” in Fabini, G.; Firouzi Tabar, O.; Vianello, F. (a cura di), Lungo i confini dell'accoglienza. Migranti e territori tra resistenze e dispositivi di controllo Manifestolibri, pp. 23-40.
Marrakech (Marocco), 21 maggio 2020
Alessandra Turchetti
Per inviare il vostro contributo, scrivete a: anthroday@gmail.com.
Il blog è curato dal gruppo di lavoro del World Anthropology Day - Antropologia pubblica a Milano.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
-Agier, M. (2020), “Les vies encampées, et ceque nous en savons”, Libération, 21/04/2020.
-Amselle, J.L. (2020), “Addio a Foucault. ‘Biopotere’ o‘tanatocrazia’?”, Scenari, 20/04/20.
-Bargna, I. et alii (2020), “Confini:(S)confinamenti. Antropologia pubblica e frontiere”, Gli Stati Generali, 01/05/2020.
-Ben Lazreq, H.: Garnaoui, W. (2020), “TheParadoxes of Immobility: Covid-19 and the Unsettling of Borders”, ABCNet, 24/04/2020.
-Borriello, G.; Sahiloglu, A. (2020), “Bordersin the Time of Coronavirus: How the COVID-19 Pandemic Upended the GlobalMobility Paradigm”, COMPAS, School of Anthropology, University of Oxford, 20/03/2020.
-Campesi, G. (2015), Polizia della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo, Roma, Deriveapprodi.
-De Silva, V. (2020), “Mobilità, corpi e confini”, Storie virali, 28/03/2020.
-Firouzi Tabar, O. (2020), “Lemigrazioni nella Pandemia: Rappresentazioni, marginalità e nuovi spazi di lotta”, Euronomade, 07/05/2020.
-Marmié, C. (2020), “Les ‘françaisbloqués au Maroc’. Une lumière crue sur l’ordre migratoire international”, Carnets de l’Ehess, 15/04/2020.
-Mezzadra, S.; Neilson, B. (2013), Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna.
-Preciado, P. (2020), “Le lezioni delvirus”, Internazionale, 09/05/2020.
-Turchetti, A. (2019a), “L’arte dei margini: poetiche e politiche del confine Euro-Africano tra paesaggi di potere e spazi di resistenza” in Bertoni, F.; Sterchele, L.; Biddau, F. (a cura di), Territori e resistenze. Spazi in divenire, forme del conflitto e politiche del quotidiano, Manifestolibri, pp.144-163.
-Turchetti, A. (2019b), “Non solo Fortezza Europa: lo scenario di frontiera tra Spagna e Marocco. Un confine in movimento” in Fabini, G.; Firouzi Tabar, O.; Vianello, F. (a cura di), Lungo i confini dell'accoglienza. Migranti e territori tra resistenze e dispositivi di controllo Manifestolibri, pp. 23-40.
Marrakech (Marocco), 21 maggio 2020
Alessandra Turchetti
Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale (DACS)
Università di Milano Bicocca
Università di Milano Bicocca
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