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Il ritorno della paura [STUDENTS' CORNER]

Fenomeni periodici di globalizzazione, pestilenze, carestie e guerre hanno alimentato un diffuso senso di paura per un lungo periodo della storia Europea moderna sino ai nostri giorni. L’epidemia globale del Covid-19 in corso segna il ritorno offensivo delle epidemie mortali. La presa di coscienza d’un pericolo subdolo e imminente che minaccia la nostra incolumità sta minando la psicologia delle comunità colpite. Le caratteristiche tipiche della psicologia della collettività sono esasperate in questi giorni travagliati: dalla sua influenzabilità, al carattere assoluto dei giudizi, la perdita dello spirito critico e l’annullamento della responsabilità personale (da qui i ripetuti inviti a “stare a casa”), alla sottovalutazione della minaccia.

Ma cosa c’è di nuovo oggi nei nostri comportamenti collettivi rispetto alle nostre esperienze storiche in tempo di epidemie? Infatti se è pur vero che la peste è “un grande personaggio della storia di ieri” (B.Bennassar su La paura in Occidente di Jean Delumeau, Il Saggiatore, Milano 2018), la cruda attualità ci sta riproponendo temi creduti ormai superati dalla modernità della nostra società neo-liberista. Sorprende l’attualità con la quale Manzoni descrisse nei Promessi Sposi la peste che sconvolse Milano nel 1630: “Anche nel pubblico quella caparbietà di negar la peste andava naturalmente cedendo e perdendosi, di mano in mano che il morbo si diffondeva, e si diffondeva per via del contatto e della pratica”. “Essa [la peste] attacca senza distinzione ogni genere di persone, uomini, donne, giovani, vecchi, deboli, robusti e benestanti”.


Oggi come allora, quando compare il pericolo di contagio, si cerca, con un misto di incredulità e paura, di ignoralo per non turbare la popolazione. Nel maggio del 1599 i medici di Burgos e di Valladolid formulano diagnosi tranquillizzanti dei casi sotto osservazione nella loro città: “Per parlare con esattezza, non è la peste; è una malattia comune, si tratta di febbri terzane fortissime…”. A Lilla nello stesso anno la popolazione si rifiutò di credere all’arrivo del colera in quanto in un primo tempo lo considerò una invenzione della polizia.

I cittadini posti sotto quarantena devono confrontarsi con l’angoscia quotidiana di vivere uno stile di vita ben diverso da quello abituale. L’insicurezza infatti non nasce solo dalla presenza invisibile della malattia, ma da uno scompaginamento della struttura del quotidiano. Tutto è cambiato, la città si è fatta deserta e silenziosa, i negozi e le chiese sono chiusi, è cessata qualunque attività ludica. Si teme l’aria che si respira, e allora si evitano persino i contatti con i parenti; ci separiamo gli uni dagli altri temendo di contagiarci a vicenda. La presenza degli altri non è più un conforto, anzi la mancanza della comunicazione tra i cittadini diventa la cifra della quotidianità. Gli altri sono pericolosi e, quindi, non si scende in strada e si cerca di resistere, chiusi a casa propria, con le provviste che si sono potute accaparrare all’ultimo momento. Si esce solo per necessità, per fare la spesa e ci si saluta a distanza. Alle segregazioni forzate dei malati conclamati si aggiunge la clausura volontaria precauzionale, e tutto ciò non fa che accrescere il vuoto, il silenzio e la diffidenza della città.

Oggi, a differenza di ieri, la presenza dei social networks sembra alleviare l’angoscia della solitudine forzata, ma è una sensazione mendace. I rapporti umani sono completamente rovesciati: proprio nel momento in cui si fa più forte il bisogno assistenza e calore umano, chi si prendeva cura di te fino a quel momento, ti abbandona. In fondo, come asserisce Bruno Latour, “non siamo mai stati moderni". Il miracolo della civiltà occidentale è stato però che essa è riuscita a sopravvivere a tutte le paure che ha attraversato senza lasciarsene paralizzare. In taluni casi, la paura ha prodotto i suoi antidoti, come nel caso del Rinascimento, quando una combinazione di angoscia e dinamismo consentì un passo avanti all’umanità. Ci stiamo incamminando verso un nuovo rinascimento quindi ?

Milano, 17 marzo 2020
Alessandro Natili
Studente del Corso di Laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
Università di Milano Bicocca

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